Di bravi menestrelli, la Capitale ne aveva conosciuto tanti, dagli anni in cui si ergeva fino ai giorni nostri; Ma quando di musici si parlava, il nome che affiorava nelle menti di ognuno all’est e all’ovest del massiccio centrale era solo uno: Siege.

Tutti, dagli Airysin ai freddi Juggern portavano enorme rispetto a quel giovane uomo; perché se la sua vita un giorno sarebbe stata spazzata via, i suoi canti erano immortali.
Per anni la Capitale lo aveva perso di vista, mentre l’individuo dal bell’aspetto girava per le città con il suo piccolo aiutante Astro, ma quando tornò tutti immediatamente lo riconobbero. La città si era mossa a festa e la locanda era gremita di gente come non se ne registrava da anni, quando tra il vociare della folla, sul palco, l’uomo dai dolci lineamenti del sud comparve. Comparve, e tutto si zittì. Come per magia.

Buonasera gentili signori e garbatissime Dame. Io sono Siege, bardo orchestrante della Compagnia Itinerante di Vorannon, ed ora vi narrerò la leggenda delle leggende, la storia dell’anello del Re.

E mentre il pubblico osservava la scena rapito, alle spalle dell’uomo il tendone si aprì per dar spazio al palco, dove alcuni figuranti iniziarono la rappresentazione guidati dalle note leggere dell’arpa di Astro.

In un tempo lontano, di un’epoca ormai dimenticata, vi era un Re che avvinto di glorie e gioielli, nulla più trovava che potesse colmare la sua brama di avere.
Ogni cosa che desiderasse aveva posseduto; dalla più bella donna giunta dal sud alla più rara seta e così negli anni che si susseguirono agli anni, le enormi ricchezze che egli accumulava sempre meno lo dissetavano, fino a divenirgli completamente indifferenti.
La sua apatia ben presto si acutizzò, fino a riverberarsi sulla corona e sui suoi sudditi, che più di ogni altra cosa desideravano vederlo felice.

(Scena: Un uomo siede su di un trono posto sul palco di profilo, dietro di lui la scenografia illustra una sontuosa stanza reale nella quale sono ammonticchiati tesori di ogni genere. L’uomo poggia però il gomito sul bracciolo e assume un espressione scontenta)

Un periodo oscuro sembrava alle porte del un tempo prospero regno del sud, tanto che per scongiurare il rischio di una ressa popolare, causata dalle decisioni volubili del re, i tre fidati consiglieri si unirono in segreto in un’assemblea straordinaria, dove decisero il da farsi.
Le più belle ancelle furono allora chiamate e condotte al suo cospetto, i più allietanti menestrelli del mondo, i cibi migliori e le vesti più sontuose sfilavano ogni giorno nella sala del trono, ma nulla di ciò che egli vedeva poteva desiderare, e nulla sembrava esistere che riuscisse semplicemente a smuovere il re dalla sua inerzia.
Ma quando le speranze sembravano ormai perdute si presentò al palazzo un mago ammantato d’una veste dorata, giurando di avere la cura per la bramosia del re. Colti dalla disperazione, i tre consiglieri come ultimo tentativo, scortarono il mago nella sala del trono, presentandolo dinnanzi al sovrano.

(Scena: I figuranti iniziano a sfilare davanti il trono portando ogni tipo di dono, che vengono laconicamente accettati senza interesse da parte del sovrano e lasciati accatastati ai suoi piedi. Dopo alcuni istanti, fa comparsa nella sala un mago scortato dai tre consiglieri, (2 uomini ed una donna) che gesticolando, sembra riuscire ad accendere l’interesse del re.)

Al di là di ogni aspettativa, il mago riuscì a catturare l’attenzione del re parlando di qualcosa che parve riaccendergli interesse: un anello che rendesse invincibile chi lo indossava assimilandolo a Vorannon. Si diceva che in quel cerchietto fosse racchiusa la vita e la morte e che queste, mescolate in egual misura, dessero una potenza immensa a chi lo conducesse; ma che, come prezzo da pagare, il gioiello causasse un’enorme sofferenza al possessore.
Il re allora, ignorando i moniti dell’uomo e finalmente ritemprato nell’animo dal desiderio, smosse il mondo e spiegò gli eserciti fino a che non localizzò l’agognato monile, scoprendo fosse in possesso di un’atavica creatura contro la quale nessun esercito poteva ma solo l’astuzia. Diede così ordine al suo più fidato consigliere, Christen, di fare qualsiasi cosa, sacrificando anche la sua stessa vita se necessario, pur di recuperarlo per lui.

(Scena: Il Re chiama a sé la donna e le ordina di seguire il mago e di trovargli l’anello, a costo della sua stessa vita. La donna e il mago si allontanano dalla scena.)

Christen era una guida risoluta ed intelligente sulle cui note venivano scanditi i ritmi delle più grandi battaglie, e la sua bellezza si diceva non avesse eguali.
Quando le donne del regno si guardavano allo specchio, sognavano il volto di Christen; quando gli uomini guardavano le proprie donne, sognavano Christen. Il suo viso, i suoi occhi, la sua bocca non lasciavano pace.
Un giorno Vorannon creò la bocca di Christen e da allora nacque l’idea del peccato.” *

(Scena: I figuranti lasciano il palco ad una giovane donna, che danza sulle note di un flauto con estrema grazia, fino a che la cornice di tela alle sue spalle viene spostata da due grosse corde, per scoprire la scenografia di una costruzione angusta e piena di morte. Si chiude il sipario.)

Fine prima parte
***
Seconda Parte

La folla, lasciata sapientemente in trepidante attesa dalla Compagnia di Vorannon, ormai non parlava d’altro che della storia del Re e dell’Anello. A piccoli e medi gruppi gli spettatori esponevano la personale interpretazione della storia, scambiandosi l’un l’altro opinioni e pareri. Dal loggione si sentì l’eco di un gruppo di Airysin intento a disquisire sui recenti avvenimenti che avevano portato alla luce, pare, un nuovo anello delle anime.
Dalla platea invece, una schiera più numerosa si stringeva intorno qualcuno, che tra gli uomini azzardava si trattasse di un’allegoria sui doni duali di Vorannon, atti sempre ad elargire virtù, ma anche insegnamenti. Un terzo gruppo proveniente dal sud, invece, restava seduto tranquillamente al proprio scranno credendo non vi fosse alcun fondamento logico in ciò che fosse narrato, e che si trattasse di null’altro che una bella storia da ascoltare. E mentre la folla continuava a ragionare, una musica lieve interruppe il flusso di pensieri e parole, e tutti si zittirono, colti di nuovo dalla magia del racconto di Siege.

(Scena: la rappresentazione riprende da dove era stata interrotta: la donna è sola sulla scena e alle sue spalle c’è la scenografia di una tetra fortezza.)

Quando giunse al maniero del Lich, Christen si trovò di fronte un ponte sospeso sul nulla, arroccato su di un dirupo così profondo e oscuro da non scorgerne mai la fine. E quando posò il piede sul legno ormai logorato dal tempo, la donna per rincuorarsi elevò il suo canto al cielo che narrava così:

Mio re, tu che sei ammantato da sventura,
non t’accorgi di ciò che rende opachi i tuoi occhi.
Se tu potessi accorgerti di ciò che nel mondo è sciagura
comprenderesti la mestizia che trabocchi.
Non odi l’ulular del vento e la paura
ché non v’è giustizia nel tuo animo arrochito
Ma sotto la tua pelle dorme e ancor perdura;
Possa addormentarsi così anche il male infinito
e il canto mio, proteggermi da queste mura

Così recitando iniziò il suo incedere ad ogni passo più sicuro, ma quando giunse alla metà del ponte vide addensarsi su di lei grosse nubi che ricordavano lo sprigionarsi di un uragano. Dai neri cirri comparve poi l’antico ridestato, che aveva già compreso le intenzioni della donna, deciso ad arrestarne il passo.

Di fronte agli occhi interessati degli spettatori della taverna, con un effetto scenico sorprendente, fece allora comparsa sul palco un attore camuffato da una tunica logora e nera, il volto coperto fino alle labbra da un cappuccio usurato e la pelle dipinta di bianco, come scheletrica, armato di un bastone fatto di ossa. Al collo conduceva un medaglione che pareva scintillare, ponendosi così ad ostacolare il passo della donna.

Inutilmente Christen tentò di ammansirlo col suo canto: nulla potevano la sua melodia e la sua spada contro la furia del lich, reso ancor più forte dalla cieca gelosia che provava per il suo prezioso monile. A lungo combatterono, e sempre più la giovane perdeva le forze, fino a quando il lich non scagliò su di lei un sortilegio terribile, facendola cadere tramortita a diversi metri di distanza; Christen s'irrigidì dal dolore; non un alito di vento muoveva i suoi capelli; il viso divenne esangue; sentiva lentamente la vita fluire via dal suo corpo, senza ch’ella potesse opporvi .
Riuscì appena ad alzare il viso, volgendo lo sguardo alle spalle dell’essere, dove le minacciose nubi nere iniziarono ad essere scosse da enormi lampi che rischiaravano il bosco di una luce spettrale per poi scendere in un’unica, terribile colonna a concentrarsi nelle mani del Lich. E fu proprio quando l’essere impose le mani per darle il colpo di grazia, che in una mossa disperata Christen alzò lo scudo, contro il quale andò ad impattare terribile e violenta la magia. Le folgori si ritorsero allora contro il Lich, che cadde a terra esanime, trasformandosi in cenere.

(Scena: Così come descritto, la donna alzando lo scudo riflette un fascio di luce proiettato dalle scene sull’uomo in nero, che cade a terra esanime, dietro la sceneggiatura)

La magia che avvinceva Christen svanì e lei, ferita e affranta, prese dai resti dell’essere il medaglione con l’anello e si allontanò dalla nera fortezza; Con le ultime forse s’issò a cavallo e poi svenne. Vedendola in quello stato, il fedele animale si mise al galoppo per raggiungere il reame del sud.

(Scena: Si chiude il Sipario. La scenografia cambia di nuovo, tornando quella della sala del re, con tanto di seggio reale e regnante seduto su di esso, in impaziente attesa)

Così Christen partì e rimase ferita, combatté per il suo sire e per il suo popolo, per esso sfidò la morte e la sorte avversa fino a che non riuscì a strappare l’anello dalle mani del Lich. Ma tornando al suo cospetto provata e sanguinante, non ricevette dal Re uno sguardo di commiserazione.

(Scena: la donna torna gravemente ferita. Ha il viso graffiato e sanguinante e l’armatura squarciata in alcuni punti; cammina barcollante fino a posare un ginocchio a terra il trono del re, e quando ci riesce, verso di lui tende una mano chiusa, ne schiude le dita mostrando il piccolo monile)

…Ma quando il re allungò la mano per toccare l’anello, nell’istante preciso in cui le loro mani furono congiunte dal piccolo cerchietto dorato, si dice che il suo cuore si fermò. Durò solo un istante, un attimo di esitazione, e poi prese a battere all’unisono con quello di lei.
Il re rimase immobile per molti istanti, con lo sguardo fisso su quello della donna e della stessa fiamma gli parve bruciasse lei; ma appena le sue dita si chiusero intorno al gioiello e lui lo prese, gli occhi della donna tornarono quelli di sempre, disillusi e senza scintilla d’ amore.
Ma il re che lo possedeva il gioiello più ambito di tutti, lui che finalmente lo aveva tra le mani, non sarebbe stato mai più lo stesso. L’amore che da anni non toccava più un cuore si era impossessato di lui, in quel legame che sceglie una sola anima e che l’ama fino alla morte.

(Scena: la donna si alza e abbandona il palco, lasciando il re solo con lo sguardo rivolto a lei, e sul palmo l’anello)

A lungo rimase il re solo nei suoi alloggi cercando un modo per rendere quella donna sua o per liberarsi di quella maledizione; Ma qualsiasi cosa facesse, di qualsiasi dono o onorificenza la investisse, non vi era più vita in quegli occhi.
Se avesse dato lei l’anello, allora Christen non sarebbe stata più la stessa. Se l’avesse tenuto per sé, allora lei non avrebbe mai potuto ricambiare il suo amore. A lungo pensò e a lungo lo cercò, ma non c’era modo di fare quella donna sua.
E così passava i giorni, nell’oscurità del suo palazzo: sfiorava per ore l’anello e gli pareva di sentire ancora il calore della sua mano sotto di esso; E più tentava di scacciarlo, più forte quel suo amore si stringeva al suo petto, per tormentarlo e addolorarlo nei giorni e nei mesi, fino a che non divenne triste e vecchio.
Allora, quando nessuna lacrima rimase nei suoi occhi, decise per il bene della sua terra di rinchiudere per sempre l’anello nelle segrete più profonde del palazzo, scegliendo che fosse il vuoto eterno a ricoprire la sua anima, pur di non patire più di quell’amore maledetto.

(Scena: il sipario si chiude davanti un re addolorato, innanzi il quale torna Siege per suonare la sua ultima strofa al pubblico rapito)

Ed or che dai denari
Anche un re rifugge,
Ricorda, ciò che più ami
È quel che ti distrugge.

*cit