Dal taccuino di Ederkar il Longevo

La politica di isolamento messa in atto dal mio antenato, Ederkar il folle, stava decimando il nostro popolo. Mai si videro uomini più sfiduciati e indisciplinati oltre l’era della Juggershunt. In molti, stremati dalla miseria, provarono a scappare: i più ingenui presero in deserto e morirono per inedia o per mano della milizia; I più audaci presero il mare, e di loro non se ne seppe più nulla.

In quel periodo i re venivano scelti dai generali tra quelli che avrebbero potuto far qualcosa; Le Juggernesh marcivano da quasi due secoli sotto le segrete del palazzo, ingiustamente additate della grande guerra.

Ma se avesse potuto, ne sono certo, la Man-o-Wor avrebbe scelto me per una ragione: Ero il solo che non avrebbe ancora finto di poter fuggire dalla Ferfytwor. Io ero il solo che sarebbe entrato in quel baratro, fino in fondo, e ne sarei uscito vivo.

Ero preparato a molte cose quando decisi di affrontare la situazione, posto sullo scranno dei re: dall’odio delle altre razze, alla sfiducia del mio popolo, lo scetticismo dei miei generali, la riapertura delle vecchie ferite. A molto ero preparato, ma non a tutto questo. 

Rinvenni il corpo di Ederkar il Folle: uno scheletro in parte ricoperto di brandelli di carne putrida, la mascella spalancata e ragni che uscivano dalla cavità orale. La sua corazza era perfettamente intatta dopo quasi due secoli dalla sua scomparsa; Solo, sui bracciali, vi era inciso: Xerath fu la causa. Cosa spinse quest’uomo, figlio del più grande, alla follia; Quale fu la sua disperazione nel graffiare con le sue stesse unghie questa scritta sui bracciali; Se fosse stata davvero opera sua; Cosa o chi andasse cercando Ederkar sul campo di battaglia. 

Credetti di saperlo quando trovai l’Anello del Mercenario.

Era legato così indissolubilmente al dito di Ederkar che fu indispensabile bruciarlo, per recuperare quel monile; Non dimenticherò mai come, quando cadde toccando il suolo, generò una misteriosa onda d’urto. Non dimenticherò mai la sensazione che ebbi quando infilai l’anello al dito. Fu come se la vita mi fosse stata travasata dentro, senza alcun preavviso. Fu come se la forza di cento juggern fosse divenuta parte di me. Mi sentii improvvisamente rinato, energico, vivo: riempito di quella passione che da secoli nessuno di noi più sentiva. Per mesi indossai l’anello, che mi aiutò a salvare il mio popolo dall’isolamento, a fare ciò che era dovuto con coraggio, a risanare i rapporti con il Re di Phyrexia; L’anello del Mercenario divenne il mio maggiore alleato, colui che prometteva per il mio regno un futuro in salita. 

Fino al momento in cui iniziai a comprendere quanto, ogni giorno che passasse, ne fossi più ossessionato; fino a che compresi che, presto, io ne sarei rimasto avvinto. L’anello mi cercava e mi completava. Il suo alone dorato protendeva verso di me, la mia volontà vacillava e presto avrebbe controllato le mie azioni, senza che io avrei potuto più impedirlo. Ciò che credevo fosse la soluzione, la strada della salvezza del mio popolo, si rivelò essere la sua stessa maledizione.

L’anello si trasformò in un peso insopportabile; qualcosa che continuavo a fare anche contro la mia volontà. Toglierlo fu la battaglia più grande che io abbia mai combattuto nella mia vita.

Quando ci riuscii, portai io stesso l’anello nelle segrete del palazzo reale, dando ordine ai Ver-Juggake di sigillarlo in una teca, e di tumularlo per sempre. Ma pur vedendo quell’anello maledetto scomparire sotto il buio della terra non sentii alcun sollievo: capii allora che non sarebbe stata la segregazione a ridare scampo al mio popolo, ormai mutilato per sempre. Dopo anni di decadenza il Jugge aveva bisogno di credere nuovamente in se stesso e nelle sue origini. Raggiunsi quindi il luogo dove erano state sepolte le Juggernesh, deciso a ridar loro luce.

Il sarcofago si aprì rivelando le spade intatte, come mai abbandonate; Una nuova era per il mio popolo stava per iniziare: la riscoperta della sua perduta grandezza. Sapevo fosse la cosa più giusta da fare ed ero disposto a cedere il regno a chi ne fosse stato capace; in fondo ciò che io avrei potuto dare era stato dato.

Ma quando stesi la mano per sfiorare la leggendaria spada, la sua luce dorata mi invase.